#SpazioTalk, Francesco Manuel Bongiorno: “Ai giovani che riescono a diventare professionisti dico di essere grati, perché siamo fortunati a fare questo mestiere”
Questa settimana, ai microfoni di #SpazioTalk è intervenuto Francesco Manuel Bongiorno. Il corridore della Vini Zabù-KTM, che negli scorsi anni ha corso anche per Bardiani-CSF e Sangemini-Mg.Kvis, attualmente non ha un contratto per la prossima stagione, ma durante l’intervista (che potete anche ascoltare qui) ha comunque accennato qualcosa riguardo al suo futuro, rivelando di essere in trattativa con una squadra. Soprattutto, però, il 30enne ha ripercorso con noi la sua stagione, condizionata come per tanti altri suoi colleghi dal lockdown per la pandemia, e ha parlato della sua carriera, dispensando anche consigli interessanti per i giovani corridori.
Di sicuro la stagione non è stata semplice, non solo per te, ma un po’ per tutti. Che bilancio trai da questo 2020?
Positivo nella prima parte, perché ero partito bene, ero subito davanti nelle prime corse. A parte Maiorca, in Malesia sono riuscito a fare una top ten davanti anche a corridori WorldTour che poi sono stati protagonisti nel corso dell’anno. Avevo lavorato bene, facendo anche un buon blocco di lavoro a Tenerife. Poi, dopo la ripresa mi sentivo anche bene, avevo delle sensazioni ottime in allenamento, poi come sappiamo la corsa è tutta un’altra cosa. Non sono mai riuscito a trovare il colpo di pedale giusto, avevo delle sensazioni che non avevo mai provato, che non riuscivo bene a decifrare, come altri miei colleghi. Quindi la seconda parte non è andata molto bene.
Per la situazione attuale di contratto c’è qualcosa in ballo?
Sì, sono in trattativa, sono fiducioso.
Ma sempre con la Vini Zabù per un rinnovo o con un’altra squadra?
No, no, con un’altra squadra.
Non ci vuoi svelare niente per il momento?
No.
Come valuti nel complesso il tuo ritorno al ciclismo in questi due anni dopo la pausa nel 2018?
Sono fiducioso, sono un atleta più maturo. Conosco quali sono i miei limiti, ma sento che posso fare ancora qualcosa di buono. Naturalmente, ho la consapevolezza di non avere più 24/25/26 anni, che sono quelli dove, tante volte, un atleta può fare il salto di qualità o comunque prendere un certo tipo di percorso. Io ho avuto un percorso molto particolare, perché proprio a quell’età avevo deciso di smettere, poi sono rientrato a correre. Da una parte mi sento molto fortunato perché ho capito veramente l’amore che provo per questo sport e quanto io e i miei colleghi siamo fortunati a poterlo fare. L’anno che sono stato lontano mi è servito tanto per riflettere. Poi, non è per trovare scuse, però dopo un anno fermo, ripartire lo scorso anno non è stato facile, ho sofferto un po’ nella prima parte, la seconda sono andato un po’ meglio. Comunque mi sono riassestato e quest’anno ero partito bene, ma poi mi hanno rifermato un’altra volta. Sembra quasi una barzelletta, però è andata così, va bene.
Hai qualche rimpianto per la decisione presa nel 2017? E anche per quel secondo posto di tappa al Giro d’Italia 2015, che poteva essere decisivo nella tua carriera, dove c’è stata anche la questione del tifoso sullo Zoncolan: c’è qualche rimpianto per come è andata?
Qualche rimpianto a livello di scelte, che non sto qui a tirare fuori. Scelte che ho fatto in passato, e non si può tornare indietro. Cambierei qualcosa, ma più che altro su determinati tipi di scelte, anche extra atletiche. Ma non mi va di parlarne perché non servirebbe a niente. Io ho sempre dato il massimo, però gli anni da atleta passano molto velocemente, le opportunità per un corridore come me, uno scalatore, sono limitate e quelle che ci sono devi saperle sfruttare al massimo. Non per togliere niente alle ruote veloci, però un velocista riesce più facilmente a fare risultato anche con una condizione un po’ inferiore, e comunque non è facile neanche per loro. Però, lo scalatore per fare risultato deve essere al cento per cento, altrimenti non riesci a raccogliere. Sono comunque orgoglioso del mio percorso, forse ho fatto meno a livello di risultato, ma a livello di approccio alla mia professione ho imparato tante cose.
Ed è quello che puoi condividere con i tuoi compagni di squadra, in particolare riguardo alla grande esperienza che hai con il Giro d’Italia. Sarà questo il tuo obiettivo, con qualsiasi formazione con cui firmerai, lo farai con l’idea di puntare a partecipare al Giro d’Italia?
Sinceramente, il Giro è un pallino mio e di tanti atleti italiani, poi però quando corri l’importante è dare il cento per cento in ogni corsa. Con la formazione con cui, spero, andrò a correre, mi piacerebbe portare la mia esperienza, perché secondo me è una bella cosa; il fatto di regalare, di trasmettere esperienze. Se c’è chi le sa ascoltare, è una cosa molto bella. Ma una cosa anche molto importante è saperla trasmettere, e quando ci riesci è una bella cosa. Mi piacerebbe.
C’è il rischio, con i nuovi metodi che ci sono nel mondo del ciclismo, che pretende molto sin dalle categorie giovanili, di perdere la passione? Di vederlo più come un lavoro e quindi di rinunciare ad una carriera più promettente perché si è dato tanto troppo presto, perché si sono fatti tanti sacrifici?
Questa non è una domanda semplice a cui rispondere. Il fatto di ricercare un nuovo metodo di allenamento, piuttosto che un nuovo tipo di preparazione, può esasperare tanti, invece la mia passione è proprio quella. Riuscire sempre a migliorarsi in bici è una cosa che mi affascina. A tanti esaspera, a me no, ma è una cosa un po’ soggettiva. Però capisco che magari questa troppa esasperazione porta a sfruttare i giovani, purtroppo quando si bruciano le tappe rischi di accorciare le carriere. Siamo atleti ma siamo umani. Hai cinque anni in cui riesci a dare il 120%, se quei cinque anni li anticipi dai 28-33 ai 22-27 è naturale che il calo ci sia prima, è una cosa fisiologica. Mi auguro che per tanti non sia così. Noi ci possiamo fare poco, è il mondo che va avanti, nel ciclismo come in altro. Noi dobbiamo adattarci, purtroppo è così.
Dall’alto della tua esperienza che consiglio quindi senti di dare ai giovani o a chi si approccia a questo sport, anche non necessariamente per diventare un professionista?
Innanzitutto, a chi riesce a diventare professionista di essere grati di questa cosa, perché se si diventa professionisti vuol dire che in qualche maniera Madre Natura ci ha selezionato. Quindi consiglio di sfruttare e di godersi questi anni nel migliore dei modi. Alle volte, sono stato io il primo a colpevolizzarmi e a stare male perché magari volevo ottenere certi risultati che non sono arrivati. Però, quello stop mi ha fatto rendere conto di quanto siamo fortunati. Quindi di essere grati per ciò che si fa e di farlo con la massima passione, il massimo impegno, il massimo amore possibile. Essere grati, perché davvero siamo fortunati, penso sia il mestiere più bello che si possa fare.
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